Can Tho, il Vietnam e quello che la vita ti insegna mentre sei distratto a fare qualcos’altro.
Dopo qualche mese ecco che torna prepotentemente il Vietnam a farmi ragionare sulla mia vita e su quello che ne sto facendo. In fondo i viaggi servono a questo, a cambiare la propria prospettiva e combattere la monotonia che alcune scelte comportano nella nostra quotidianità. In particolare non riesco a togliermi dalla testa una singola notte passata a Can Tho, nel delta del Mekong.
Can Tho è la quinta città del Vietnam in termini di dimensioni ed in assoluto la più grande del delta del Mekong. Adagiata sulla sponda del fiume Hau non è famosa per i templi o per qualche attrattiva turistica, ma è la base di partenza per tutte le escursioni nel delta del Mekong in quanto offre molti alberghi anche lussuosi, ma sempre molto economici, e un buon collegamento stradale, anche grazie al famoso ponte inaugurato nel 2010 lungo quasi 3 km*.
Il mercato galleggiante di Cai rang
L’attrattiva principale di questa città sono i mercati galleggianti. Il più famoso è il mercato di Cai rang, dove centinaia di barche tradizionali in legno si incontrano per scambiare i propri prodotti, facendosi riconoscere da una lunga asta legata alla barca a cui viene affisso il prodotto “campione” in modo da essere riconoscibili da lontano.

Cai Rang floating market.
La città di Can Tho
Quindi perché proprio Can Tho mi torna prepotentemente in mente?
Vista dalla finestra del nostro hotel è un’accozzaglia di edifici spesso trasandati, di ogni forma e colore, tutti che premono sulla sponda destra del fiume, intervallati da mercati all’aperto che vendono qualsiasi cosa.

Can Tho e il fiume Hau.
E allora di nuovo… perché Can Tho?
Ci siamo arrivati verso sera, saranno state le cinque del pomeriggio, e la nostra guida ci ha accompagnato in hotel (il bellissimo West Hotel, 29€ a stanza, piscina all’ottavo piano e lusso sfrenato). A proposito di hotel e organizzazione del viaggio a questo link trovi tutte le mie indicazioni per costruire il proprio viaggio in Vietnam.
La nostra guida voleva accordarsi con noi per venire a prenderci per cena ma noi abbiamo rifiutato perché volevamo arrangiarci per vedere la città un po’ da soli. Reticente e un po’ sgomento si è raccomandato che almeno andassimo a mangiare nel ristorante che ci aveva indicato su una mappa, dove fanno cucina più internazionale e ci sono altri turisti. “Più adatto per voi” ci disse nel suo inglese.

Il nostro hotel visto dal fiume.

La hall del nostro hotel e il contrasto con la strada di fronte.
Un paio d’ore dopo ci siamo avventurati fuori e abbiamo attraversato uno dei tanti mercati che da diurni diventa notturno, tra odori inconsueti e mercanzie raccapriccianti!
Giuro che tra le varie mercanzie ho visto una signora vendere rane giganti. Le teneva su una cesta, avevano una zampa legata su se stessa, in questo modo giravano solo intorno e non fuggivano. Non riesco a fare foto in questi casi, mi prende il dispiacere e non ce la faccio! Probabilmente non era neanche la cosa più strana in vendita, ma è stata di sicuro la più riconoscibile.
Arrivati sul lungofiume, ci sembrava di trovarci in una nostra località turistica anni ’80: luci al neon, bancarelle e tantissima gente vestita più o meno a festa. Barconi illuminati in stile Las Vegas salpavano dalla riva per fermarsi pochi metri più in la e dare inizio a chissà quale tipo di serata. Gioco d’azzardo? Lotta tra polli? Immaginavo qualsiasi cosa, in effetti sarebbe stato utile avere la guida con noi per chiederglielo.

Barche tradizionali di pescatori nel riflesso delle grandi navi coperte di luci al neon sul fiume Hau.

Il lungofiume di Can Tho. Sicuramente il volto più moderno della città.
L’aria della sera era abbastanza fresca, ci saranno stati a mala pena trenta gradi e la gente sembrava tutta in vacanza, passeggiava pigramente guardando la luna riflettersi sul fiume e piccole barche di pescatori che si muovevano nel riflesso della luce dei neon. Stavamo bene, ci sentivamo sicuri, anche se c’era qualcosa di un po’ strano.
In effetti dopo un po’ ci siamo resi conto che eravamo gli unici occidentali per strada.
E che tutti ci fissavano. Ci spostavamo, ma continuavamo ad essere oggetto di molte attenzioni.
Gruppi di ragazzi hanno cominciato a seguirci sempre più da vicino, qualcuno cominciava timidamente a salutarci, finché il primo gruppo si è fatto coraggio e ci ha approcciato.
Ok, sono confusa…
La tensione si è sciolta quasi subito quando ci hanno detto di essere studenti che cercavano qualcuno con cui fare pratica di inglese… non ci sono molti turisti qui, non come nelle grandi città come Hanoi e Ho Chi Minh City, quindi quando qualcuno viene colto a vagare per strada e non si tratta evidentemente di una persona del luogo viene subito preso di mira!
Alcuni erano incerti, cercavano con lo sguardo il professore che stava pochi passi più in là, in ascolto ma senza intervenire perché dovevano cavarsela da soli. Altri registravano con il telefonino le nostre risposte (che imbarazzo… spero non le riascoltino a scuola!), erano curiosi, volevano sapere da dove venivamo, cosa facevamo nella vita e se ci piaceva la loro città. Avere il coraggio di farsi avanti faceva parte del loro “compito per casa”. Il turismo potrebbe essere il futuro per molti di questi ragazzi e prima si comincia meglio è. Difficile capire quanti anni avessero, sembravano giovanissimi e i professori non sembravano molto più vecchi.
Veniamo fermati diverse volte, ormai avevano visto che eravamo disponibili quindi appena un gruppo ci mollava se ne faceva avanti un altro.
E poi è arrivato lui.
Un ragazzetto magro e alto con un sorriso enorme accompagnato dalla sua timida ragazza. Ci ha chiesto da dove venivamo e noi ormai stanchi abbiamo risposto solo “Italy”. Il sorriso è diventato ancora più grande e lui ha cominciato a saltare intorno a noi per la gioia. Abbiamo ripreso a camminare ma lui ci ha seguiti e ci ha spiegato il perché di tanto entusiasmo. Ha vent’anni (gliene avrei dati al massimo quindici!!) e studia all’università. Ha deciso di cominciare a studiare l’italiano ma visto che non è semplice trovare una scuola di italiano nel delta del Mekong ha cominciato a studiarlo per conto proprio su internet. Le occasioni di parlarlo ad alta voce però sono rarissime. Ci dice che ha incontrato pochissimi italiani, non frequentano spesso la città di Can Tho, o almeno non se ne vanno a spasso come noi dando confidenza a chiunque!
Siamo rimasti a chiacchierare con lui per un po’ e devo dire che non se la cavava per niente male con la nostra lingua, che nel frattempo cercava di insegnare anche alla sua ragazza. Abbiamo riso a lungo con loro delle stranezze della vita, del trovarci in una città sul delta del Mekong a chiacchierare in italiano con uno studente autodidatta in mezzo alla gente che ci guardava con grande interesse.
La parte più divertente è stato confessare la nostra età. La ragazza credeva di non aver capito e se la faceva ripetere in tutte le lingue che conosceva, ma nonostante questo non riusciva a capacitarsi. Si copriva il viso e ripeteva: “Ma siete bellissimi” la parte della frase non detta era “…Nonostante l’età avanzata”. Evidentemente in Vietnam si dimostrano quindici anni fino ai trenta e poi improvvisamente ci si sfascia! Non lo so… non ho capito ma il tutto è stato molto divertente, la più divertente serata di tutto il viaggio, forse perché l’abbiamo passata a contatto con la gente, lasciandoci trascinare in dialoghi improbabili.
Ci succederà spesso anche ad Ho Chi Minh City di venire avvicinati da gruppi di ragazzi con lo stesso scopo. Evidentemente è una prerogativa del sud del Vietnam!
Questo è il Vietnam. Persone che non si fermano mai, che vogliono crescere e imparare per migliorare la propria vita, sfruttando ogni mezzo a loro disposizione. Sono l’emblema del detto “Se la vita ti offre limoni fatti una limonata”.
Non perdono occasioni i vietnamiti, sono un popolo instancabile.
Ed ecco perché quella serata mi martella la testa. Ho deciso di rimettermi a studiare. Sfrutterò questo momento della mia vita in cui le cose non stanno andando come avrei voluto per tirarne fuori qualcosa di buono. Magari un futuro diverso, magari un modo alternativo di realizzare i miei sogni.
Perché non è mai troppo tardi per cambiare il corso della propria vita, non si smette mai di crescere o di imparare ed ogni mezzo a propria disposizione va sfruttato, altrimenti si perdono occasioni e la colpa la si può dare solo a sé stessi. Trovare il coraggio di fare il primo passo non è facile, molto più facile lasciare che le cose si trascinino così come stanno andando.
Quella sera è proseguita andando a cena, scegliendo il ristorante che ci aveva indicato la nostra guida. Ed eccoli lì tutti gli occidentali. Tutti insieme appassionatamente nello stesso elegante ristorante, a parlare tutti la propria lingua senza neanche guardare fuori dalla finestra. Li avranno portati lì direttamente in macchina perché per strada non ne abbiamo incrociato nessuno.
Qualche errore lo facciamo anche noi, avrei preferito un posto più tipico, ma comunque la cena è stata buona, il posto era molto bello e anche i prezzi, oltre alla compagnia, erano molto europei. Mannaggia a me a quando ascolto le guide!
In questo link trovi tutte le informazioni sul mio itinerario in Vietnam.
*Curiosità e cenni storici sul Vietnam
Il ponte di Can Tho, simbolo del progresso del Vietnam e dell’architettura e del design moderno, è stato costruito e finanziato quasi completamente (per l’85%) dal Giappone.
E’ lunga e contorta la storia delle relazioni tra il Vietnam e il Giappone. Dapprima erano alleati commerciali, infatti le tracce dei giapponesi sono molto evidenti ad Hoi An, città del Vietnam centrale che era il porto commerciale più conosciuto fino al XVII secolo. Furono anche nemici giurati ai tempi della seconda guerra mondiale, quando il Vietnam, già colonia francese, si trova a dover subire una doppia occupazione sia dalla Francia che dal Giappone. Perché era successo questo? Perché la Francia era stata occupata dalla Germania e il Giappone, futuro alleato della Germania, ha di conseguenza occupato il Vietnam secondo quanto stabilito dai trattati di Vichy.
In realtà la storia fu ben più complessa, ho molto semplificato!
In questo articolo sull’occupazione giapponese in Vietnam trovate molti più dettagli in caso siate interessati.
Quello che muoveva il Giappone era la necessità di bloccare i rifornimenti alla Cina in quanto la guerra sino-giapponese in corso dal 1937 era l’inizio del tentativo di espansione del Giappone nel sud dell’Indocina. I francesi in Vietnam diedero battaglia, non cedettero subito le armi ai giapponesi che tra l’altro entrarono ufficialmente nel conflitto mondiale solo l’anno successivo.
All’occupazione giapponese seguì una carestia che colpì il Vietnam provocando circa due milioni di morti.
A detta dei libri di storia fu dovuta alle siccità al sud e alle alluvioni al nord che distrussero i raccolti. A detta dei vietnamiti, i giapponesi li costrinsero a convertire le colture di riso in piantagioni di cotone lasciandoli senza cibo nel momento del loro ritiro. Queste sono state le parole di una persona che ci ha raccontato la loro storia, inorridita essa stessa nel tentativo di spiegarci perché sono stati costretti in quel momento della loro storia a nutrirsi di qualsiasi cosa pur di sopravvivere. Anche dei cani. Anche per loro è socialmente inaccettabile farlo.
Quando a scuola studiamo la seconda guerra mondiale (di solito la settimana prima della fine delle lezioni perché è stato dedicato un mese e mezzo alla rivoluzione francese e di conseguenza non c’è mai tempo per capire cosa è successo in questo secolo!) non ci viene mai spiegato che ogni decisione presa in Europa in quel momento si è ripercossa e ingigantita in tutto il mondo, o almeno non riusciamo a capire l’effettiva portata di quel conflitto anche in aree del mondo che probabilmente a quell’età non sapevamo nemmeno collocare sul planisfero.
Amo studiare la storia dei posti in cui viaggio, credo che solo così si possano capire ed apprezzare le differenze e che senza la conoscenza si perdano tante occasioni per imparare e capire qualcosa di più, uscendone veramente arricchiti e più consapevoli.
Il Vietnam in particolare va conosciuto e amato anche per la sua storia, per capire che la forza di un popolo non viene solo dalla sua ricchezza o potenza, ma anche per l’indole e l’unità che è in grado di dimostrare.
Alla fine della “Guerra del Vietnam” tutti i soldati “fantocci” e i dirigenti “fantocci” (cioè del Vietnam del sud, alleati con gli Stati Uniti) sono stati perdonati dal nuovo governo. A parte qualche caso più grave non ci sono state ritorsioni una volta che il governo di Hanoi ha conquistato il sud, ben dopo la ritirata americana. Un popolo che dopo decine di anni di guerra ha avuto la saggezza di capire che in quel momento serviva unità e non vendetta, che non si trattava di veri nemici ma di un unico popolo diviso da una decisione sbagliata (presa da noi occidentali tanto per cambiare).
Ma questa è una lunga storia e io non ho né il titolo né l’autorità per parlarne… ma posso consigliare a chi vuole saperne di più di leggere i libri di Tiziano Terzani sul Vietnam: “Pelle di leopardo” e “Giai Phong!”
Sono letture non semplici, anche se in “Pelle di leopardo” si sente anche Terzani diventare Terzani (scusate il giro di parole!). Era il suo primo libro, inizia come un freddo reportage di guerra ma lentamente emerge lui, inconfondibile.
In tutta la sua brutalità questo conflitto racconta molto anche di noi, anche se ce ne sentiamo così estranei e lontani.