Come sopravvivere a 24 ore su un treno indiano in Sleeper class.
Era una delle esperienze più attese del nostro viaggio in India, carica di aspettative e anche di paure. Avevamo scelto di provare l’esperienza “più estrema”: la Sleeper Class (SL).
Ce li siamo litigati i pochi biglietti disponibili in Sleeper Class. Con un po’ di arroganza, lo ammetto.
Tanto per capirci in India i treni hanno diverse classi in base al prezzo e al livello di confort. L’ultima, la più bassa è la Sleeper, che in pratica non è nemmeno una classe!
Vi racconto com’è andato il nostro travagliato viaggio che sarebbe dovuto durare 11 ore e portarci freschi e riposati il giorno successivo da Khajuraho a Varanasi, percorrendo i fatidici 450km che separano le due città.
450 Km… che sarà mai!
La partenza da Khajuraho è prevista attorno alla mezzanotte. Siamo in stazione con la nebbia ed il freddo penetrante e dall’altoparlante uno speaker annuncia in indiano tre ore di ritardo. Non conosciamo l’indiano ma abbiamo capito.
Smarriti guardiamo le coperte ammucchiate a terra, che coprono intere famiglie indiane che dormono in stazione in attesa del nostro stesso treno. Cani randagi camminano tra le coperte annusando in cerca di qualche avanzo di cibo, mentre ogni tanto un bimbo piange da uno dei tanti mucchi di stracci.
Adesso la situazione ci è più chiara: abbiamo fatto una cavolata!

Nebbia in stazione in India, occhi da pazza che si rende conto, finalmente, di aver fatto una cavolata!
Usciamo dalla stazione e rincorriamo il pulmino che ci ha portato fino a lì, mettiamo insieme una bella mancia e con estrema gentilezza veniamo ospitati per le tre ore di attesa. Tutti a dormire sui sedili, con l’autista e l’aiutante che dormono stesi a terra nel corridoio del pullman.
Le ore di ritardo aumentano e alle cinque del mattino siamo ancora in stazione, in attesa che il nostro treno fantasma tagli la fitta nebbia e finalmente ci accolga nelle comode cuccette della Sleeper Class.
Nel frattempo ci intratteniamo indossando tutto quello che abbiamo nel nostro bagaglio, nel mio caso:
- tre paia di pantaloni sovrapposti,
- due paia di calzini,
- tre magliette,
- giubbino e sciarpa.
Il freddo è intenso e non accenna a placarsi.
Approfittiamo della fitta nebbia per fare pipì di gruppo nel mezzo del piazzale, in un punto equidistante da i gruppetti di uomini che si scaldano intorno al fuoco. Nessuna ha il coraggio di allontanarsi da sola!
Si tratta comunque di un momento di grande socializzazione che ci fa rendere conto di quanto selvagge ci abbia rese questo viaggio!
Finalmente il treno arriva, i mucchi di coperte prendono vita e inizia la lotta per le cuccette.
Vi racconto in un attimo la Sleeper Class:
si tratta di vagoni aperti con tre piani di cuccette (tavole di legno ricoperte di ecopelle), ventilatori polverosi sul soffitto e ripide scalette per arrivare nella cuccetta più alta.
Nella più alta sei più isolato ed hai un filino di spazio in più se vuoi sederti, mentre le altre due sono abbastanza vicine tra loro e la cuccetta intermedia si può chiudere in modo da potersi sedere sulla più bassa come su un normale treno.
I posti letto sono numerati ma i nostri sono tutti lontani tra loro, quindi parte la contrattazione e lo scambio di cuccette con gli autoctoni usando principalmente gesti e gemiti.
Ci accorgiamo subito che le finestre sono chiuse e non possiamo vedere fuori e che l’odore non è propriamente invitante…
Il peggiori di tutto il viaggio sono stati i primi 20 minuti.
Il panico, il rifiuto.
La confusione dei posti, gli indiani che spintonato, il ritardo accumulato.
La stanchezza.
Sistemo la mia cuccetta: ci passo una salviettina umida, così, per intrattenermi. Poi la butto via praticamente nera. Dopodiché la mia vicina indiana stampa una bella impronta polverosa del suo piede scalzo proprio nel centro del mio giaciglio!
In mancanza di un sacco a pelo estraggo la mia arma segreta dallo zaino:
la coperta di sopravvivenza! Per capirci quella con cui vengono avvolti i maratoneti a fine corsa.
La cosa si rivela interessantissima per gli indiani che mi guardano srotolare questo quadratino che diventa grande come una coperta matrimoniale!
Mi avvolgo nello scricchiolio della coperta e i miei carinissimi compagni di viaggio mi prenderanno in giro fino all’arrivo a Varanasi per il rumore ogni volta che respiro e per la somiglianza con l’orata al cartoccio.

Eccomi qui impanata ed incartata nel domopak in attesa di addormentarmi!
Appena sistemato il mio posto nella lurida cuccetta mi sono addormentata.
In un modo assolutamente inspiegabile come in autobus poco prima.
Un sonno pieno di sogni. Ballerine ammiccanti sui bassorilievi. Elefanti danzerini.
Di sicuro per merito della visita agli stupendi templi Tantrici di Khajurhao fatta il pomeriggio precedente.

Bassorilievi a Khajurhao, da qui i miei sogni!
Sorridevo mentre dormivo e il ritardo aumentava e i miei piedi lentamente congelavano.
Poi la confusione del treno che si risveglia e il ritardo che diventava sempre maggiore. Le stazioni sempre più povere, il bagno sempre più sporco. La fame, perché avevamo solo qualcosa per la colazione e i venditori di Chai salgono ad ogni stazione hanno solo prodotti sfusi, niente di confezionato o che non venga servito con le mani nude su un foglio di giornale!

I cibi portati a bordo dai venditori nelle stazioni indiane. L’imbarazzo della scelta!
Ma entrano urlando “Chai!” E in qualche modo scandiscono il lento scorrere del tempo.
Si alternano le pause davanti alle porte aperte del treno in corsa, per sfuggire un po’ agli odori dei vagoni e sbirciare la campagna che scorre fuori.

Come passare il tempo in modo creativo! Con addosso tre paia di pantaloni e tre magliette per combattere il freddo!
Le risate per tutte le cavolate e i giochi fatti per passare il tempo.
La conoscenza con gli altri passeggeri, incuriositi dalla nostra presenza, che si prodigano per darci informazioni e indicazioni, in cambio di tutto quello che abbiamo voglia di raccontargli di noi.
I minuti diventano ore, uno alla volta cadiamo nella trappola dell’ansia e della claustrofobia, ma il gruppo è ben saldo e pronto ad intervenire e finiamo per intrattenere il resto del vagone con le nostre canzoni e le nostre risate.
Abbiamo riso persino quando il treno nel pomeriggio si è fermato e i freni hanno preso fuoco, nel bel mezzo della campagna. Anche quando gli indiani sono scesi dal treno e hanno cominciato a tirare secchiate d’acqua alla carrozza precedente alla nostra, quella in cui erano gli altri nostri compagni di viaggio, in terza classe!
La situazione era talmente surreale che abbiamo cominciato veramente a ridere di tutto, viaggiando a porte aperte per spiare le stazioni di passaggio, piene di venditori di qualsiasi cosa e di scimmie che si arrampicavano ovunque.
Gli imperturbabili indiani non perdevano occasione ad ogni fermata per assaggiare il cibo dai cesti dei venditori, per niente impazienti, come se ogni viaggio fosse come quello, una normalità talmente incomprensibile per noi da rasentare la follia.
Lo stesso controllore alle nostre domande su quale fosse il problema che aveva causato il ritardo rispondeva:
“Nessun problema”.

Palloncini per intrattenere i bambini della Sleeper Class! E finalmente un po’ di luce da quei finestrini!
Quando il buio è ritornato eravamo ancora lontanissimi da Khajurhao e il tempo ha cominciato ad assumere forme strane. Si avvolgeva su sé stesso e si ripiegava. Dormivamo nelle cuccette con gli occhi mezzi aperti e ogni tanto qualcuno sussurrava:
“Quanto manca?”
La risposta era sempre la stessa, sia che venisse dal gps del telefono che da un indiano di passaggio:
“Tre ore e mezza.”
Ti riaddormentavi o leggevi o chiacchieravi un po’. E poi di nuovo:
“Quanto manca?”
“Tre ore e mezza.”
Ormai rassegnati abbiamo smesso di chiedere e ad un certo punto nel cuore della notte, ma più che altro nella prima mattinata, siamo arrivati a Varanasi.
Ci aspetta in stazione la nostra guida. Pochi passi ed ecco il primo black out della nostra permanenza a Varanasi. Schiviamo i mucchi di stracci per terra che come nella stazione di andata coprono intere famiglie in attesa del prossimo treno. Un altro treno che trasporterà mille storie attraverso le campagne indiane, tutte simili eppure tutte diverse.
Come ho già scritto nell’articolo su Varanasi la vostra guida ci accoglie così, con un sorriso nel buio in mezzo al chiasso e al disordine, sussurrando: “Welcome to Varanasi”.
Lo so, sembra un’esperienza terribile.
Eppure questo interminabile viaggio in treno è stato ricco di piccoli miracoli.
Le patatine più buone del mondo, ridotte quasi in polvere perchè ripescate dal fondo di uno zaino.
Il panettone più buono del mondo, direttamente dall’Italia, custodito gelosamente in uno dei nostri zaini e tagliato su una cuccetta di un treno indiano. Divorato in un attimo e condiviso con gli altri passeggeri anche se la fame era tanta.
La sorpresa di trovare l’ ultima barretta di cioccolata e condividerla.
Le canzoni, i giochi.
L’ allegria che ci ha uniti.
Tante, tante risate.
Questo viaggio è stato un miracolo.
Lunghissimo e doloroso.
Lo rifarei. Anche se si è preso un giorno intero.
Qualche giorno dopo, a Varanasi, conosciamo un italiano, appena arrivato in treno da Khajurhao. Gli chiediamo quanto tempo ha impiegato il treno quella notte a percorrere quei 450 Km: circa 25 ore.
“Welcome to Varanasi”.
Sarà comunque per sempre uno dei miei più cari ricordi e ogni volta che mi trovo in un luogo sporco o mi sento a disagio penso a quante volte in tutte quelle ore sono stata nel bagno di quel treno. E niente, non provo più alcun fastidio, il termine di paragone non regge!
Questo viaggio è venuto la notte dopo la promessa, fatta con due nuove amiche (che mi hanno sostenuta mentre vomitavo su antichi reperti storici, vittima di un virus mutante) sotto la luna piena di Khajurhao, scritta su un foglietto e suggellata con il fuoco del falò che ci ha tenute al caldo durante la migliore delle cene.
Succede di trovare anime affini proprio nel momento in cui ne hai bisogno e di dividersi quei carichi che ci trasciniamo dietro da tanto tempo. In quel momento diventano improvvisamente più leggeri e dopo un po’ ti accorgi che il sacco è vuoto, hai lasciato andare e ti senti finalmente libera.
Almeno per quel giorno la promessa è stata mantenuta e la prova non è stata proprio delle più semplici.
sono stato in india e anche a varanasi nel 1978 coi mezzi pubblici i tuoi resoconti sono belli e anche le tue foto dei luoghi e di te sto per tornare in india ciao e razie
Ciao Alessandro!
Posso solo immaginare la Varanasi del ’78! Sicuramente la troverai molto cambiata, ma la sua essenza sarà ancora la stessa spero!
buon viaggio!
Sono appena stato in Giordania e incomincio ad amare sempre di più la libertà di questi viaggi e di queste culture. Varanasi è il prossimo viaggio e il tuo racconto è stato perfetto. L’india è piena di contraddizioni…non si può essere spirituali e profumati ? 😀 ovvio che le cose non sono così semplici… Comunque il tuo racconto mi ha trasmesso come hai saputo osservare le piccole cose e soprattutto come saperle apprezzare.
Grazie Maurizio!
Quando racconto a voce di questo viaggio mi chiedono: “Lo rifaresti?” e io rispondo “Anche subito!” e mi guardano come se fossi pazza!
Difficile trasmettere quello che un’esperienza del genere ti lascia, in termini umani e “pratici”. Entri in contatto con persone e culture che non troverai mai nella tua quotidianità e per chi non è avvezzo a questo tipo di scambio la prima reazione è il rifiuto. Spero di riuscire con i miei racconti a trasmettere la curiosità a chi mette un muro tra sé stesso e questo tipo di esperienza. E’ bello scoprire di essere completamente diversi da quello che si pensava!