Storie di un sabato a caccia di graffiti a Padova
Ho girato tante volte intorno a quella via. Sapevo che lì c’era qualcosa di importante. Ho percorso via Makallè decine di volte perché avevo visto delle foto di graffiti su pareti di fabbriche abbandonate e all’interno di certi ambienti. Ma in fondo a Via Vicenza chissà perché non ci sono mai arrivata. Fino a quel sabato mattina.

Tributo a Jeos
Se ti sembra di esserti perso qualcosa (cosa?!!!!) ti conviene andare a vedere come impegno i miei week end da qualche mese a questa parte: con la mappa dei graffiti di Padova.
E’ iniziata quasi per caso e da allora sono successe tantissime cose.
La prima è che non ho più avuto un week end libero!
La seconda è che tantissima gente da allora mi scrive ogni giorno per segnalarmi opere che non ho ancora trovato, correzioni o anche solo per un saluto e una pacca sulla spalla.
C’è ancora tanto lavoro, anche perchè i writers non si fermano, anzi! Continuano a produrre nuove opere, molte anche in collaborazione con la città e quindi dandomi sempre tantissimo da fare!
Di giornate a caccia di graffiti ne avevo già passate tante, con la mia mappa bis con tutte le segnalazioni da verificare e i miei fantasmi da identificare trovati su Google, appuntati come “Muro giallo su prato con siepe” (sfido chiunque a trovarlo!), che molte volte finiscono con il ritrovamento di una parete intonacata di fresco.
Ma quel giorno per caso sono andata fino in fondo a Via Vicenza. Ho parcheggiato e ho cominciato a camminare lungo quella parete lunghissima, coperta di graffiti. Il muro di Jeos.
Jeos, Giacomo Ceccagno, era un writer e artista padovano, laureato all’Accademia delle Belle Arti di Venezia con 110 e lode e una tesi sulla sua stessa tecnica pittorica. All’età di 32 anni, nel 2011, la sua vita si è interrotta, ma è ben lontano dall’essere dimenticato.
Con quella parete i suoi amici hanno voluto ricordarlo, ripercorrendo la sua vita, le sue passioni e alcune delle sue poesie.
E’ un luogo dedicato alla memoria e qui possiamo ritrovare quell’amico che nella nostra esperienza abbiamo perso troppo presto.
Nella storia di ogni uno di noi è successo.
Quell’evento che ci ha fatto crescere di colpo, rendendoci conto che non siamo né indistruttibili né immortali.
Che la vita può finire e che certi vuoti occupano spazi immensi.
Quell’evento che ha cambiato tutto e che nel mio caso mi ha fatto pensare che volevo di più dalla mia vita, che non mi sarei accontentata.
La cosa buffa è che nonostante tutto non credo di averlo deluso. Se mi vedesse ora si farebbe una bella risata, ed io con lui, di sicuro non mi giudicherebbe.
I ricordi ormai si affievoliscono ma ricordo questi momenti: la sua risata, la volta che mi teneva sulle spalle mentre cantavano gli Skunk Anansie e quando mi ha detto che “facevo luce”.
Gli avevo chiesto spiegazioni e lui mi aveva raccontato che diceva così quando gli chiedevano chi ero: “Quella che fa luce”.
Intendeva dire che quando entravo in una stanza era come se si accendesse la luce. E’ in assoluto il complimento più bello che mi sia mai stato fatto e credo di non averlo mai detto a nessuno prima d’ora.
Non lo so se quella luce si è spenta, se un po’ mi prendeva in giro o se solo devo togliere da lì sopra anni di cinismo e testa bassa per farla ritornare a splendere. Mi piacerebbe chiedergli se c’è ancora e se può insegnarmi a vederla a mia volta.
Ho pensato anche a lui mentre camminavo lungo quella parete. Ma non con tristezza.
In questo luogo c’è tanta energia. Qui tanti amici si sono riuniti e hanno dedicato la loro passione ad uno di loro che era venuto a mancare e lo hanno fatto nel modo in cui lo avrebbe fatto lui stesso.
E’ un luogo insolitamente silenzioso rispetto alla strada in cui si trova.
Qui è rimasta la traccia di una persona, il racconto di una vita in una lunga parete in cui il suo nome si ripete ossessivamente, ogni volta nel diverso stile di un writer amico, che ormai incomincio a riconoscere.
Riconosco l’energia di certi luoghi: in alcuni sei subito allegro, in altri avverti come un peso che ti opprime.
In questo luogo senti subito la mancanza.
Avrei voluto scrivere subito questo articolo ma è stato il sabato a cui è seguito “quel lunedì”. Quello dell’articolo sul mattino e di tutto il gioioso trambusto che ne è seguito. E mi sembrava quasi di cavalcare l’onda parlandone proprio in quel momento. E chi mi conosce sa che il tempismo non solo non è il mio forte, ma lo evito anche accuratamente!
Quindi ho pubblicato qualche foto su Instagram insieme a qualche brandello di quello che avete letto fin’ora e ho lasciato che le acque si calmassero.
Grazie a quelle foto mi è arrivato un messaggio privato da una persona che non conoscevo che diceva: conosci l’Associazione Jeos?
Da qui mi si è aperto un mondo.
Il padre di Jeos ha fondato questa associazione per mantenere vivo il ricordo del figlio promuovendo eventi, iniziative e studi in relazione all’arte contemporanea e alla street art, aiutando anche economicamente progetti e giovani artisti.
E’ incredibile vedere quanto attiva sia questa associazione e quante iniziative vengano promosse ancora oggi nel ricordo di Jeos e di quel momento della città in cui è venuto a mancare. Poco dopo la sua morte era partito il progetto Urbanize-me (anche in sua memoria) di cui vi parlo anche a proposito della mappa della street art.
Grazie a questo progetto alcune grandi pareti in città sono state affidate legalmente a dei writers perché le trasformassero in qualcosa di diverso. Era un momento di cambiamento nel modo di vedere la street art, non più considerata solo come qualcosa di illegale e provocatorio.
A chi pensa che i writers non siano veri artisti (e ce ne sono di persone che la pensano così) consiglio di andare a vedere una mostra in cui sono esposti i quadri di Jeos, anche se chiamarli quadri è un po’ riduttivo.
Si tratta in realtà di bassorilievi realizzati con diversi tipi di materiali a cui è sovrapposta la pittura, che rappresenta spesso un altro momento nel tempo o nello spazio rispetto al bassorilievo.
Ne ho visti alcuni a Villa Bassi ad Abano Terme, alla mostra “Costruire distruzioni” e la mia prima reazione di fronte già alla prima opera è stata di assoluto stupore.

Mostra “Costruire distruzioni” presso Villa Bassi ad Abano Terme
Stupore per l’incredibile capacità tecnica e artistica di questo ragazzo.
Stupore perché nemmeno avrei immaginato che si potesse dire tanto sulla base di una tela, soprattutto con dei soggetti così “particolari”.
La location stupenda e l’allestimento molto curato della mostra hanno fatto il resto. Rendere in foto la tridimensionalità di queste opere è impossibile, non ce la fanno quasi neanche i fotografi professionisti, quindi non aspettatevi troppo da me!

Le ruspe di Jeos alla Mostra “Costruire distruzioni” presso Villa Bassi ad Abano Terme
I suoi temi sono spesso duplici, da cui “Costruire distruzioni”.
Le ruspe che spesso utilizza possono distruggere o costruire. Gli elicotteri che rappresenta possono essere mezzi da guerra o di soccorso. Le scale mobili potrebbero scendere o salire e in alcuni quadri nel bassorilievo scendevano e nella pittura salivano!
Vi consiglio di andare a vedere le sue opere se ne avrete l’occasione. Io cercherò di tenervi informati tramite i social sui nuovi eventi in programma dell’associazione Jeos.
Mi ha fatto riflettere vedere quanto vivo sia ancora il suo ricordo.
Ti fa pensare a quanto indimenticabile può essere stata quella persona.
In certi momenti particolarmente difficili è facile pensare che se potessi vorrei scomparire, senza lasciare alcuna traccia.
Niente armadi da svuotare, niente conguagli delle tasse l’anno dopo. Niente pianti ad una cerimonia o forzate condoglianze. Solo sparire e venire dimenticata.
Mi è più difficile pensarla così dopo aver visto quel muro.
Forse la nostra vita si misura in base alla traccia che lasciamo nel mondo più che dal conto dei giorni che vi abbiamo passato…
Non lo conoscevo, ma dopo aver camminato lungo questa parete è diventato anche parte della mia storia.