Ci sono i viaggi che ti portano lontano e ci sono quelli che ti portano più vicino.
Ho scritto poco di viaggi nel blog in questo ultimo anno. Ho avuto paura.
Perché non scrivo solo di viaggi, ma soprattutto di emozioni e offro a chi legge una grande fetta di me. Quello che non sapevo quando ho iniziato era che in questo modo mi sarei resa vulnerabile. Non avrei mai pensato che qualcuno usasse queste mie “confidenze” per farmi del male. Invece è stato così e ho offerto un coltello affilato e il fianco al mio aguzzino, indicandogli anche dove avrebbe fatto più male colpire.
Vorrei dire che è finito tutto e ricomincerò da capo, ma le conseguenze delle nostre azioni non finiscono, anzi ti inseguono e ti limitano, facendoti sentire ancora più vulnerabile e indegna. Fuggire dalle parole finora non è servito a nulla, quindi ricomincio a scrivere, offrendo qualcosa di ancora più intimo di me. È una sfida con me stessa prima ancora che con chiunque altro.
Ho iniziato un percorso che già ammiccava nel mio inconscio da un po’. Una consapevolezza che mi aveva indirizzato a cercare non più verso l’esterno ma verso le mie profondità le risposte e le domande di cui avevo bisogno.
La Que Sabe mi ha portato in un cerchio femminile domenica scorsa, dove le mie intuizioni sono state confermate: delle mille voci che mi dicono dove andare, devo imparare a riconoscere quella dell’istinto, della donna selvaggia, il sapere primordiale che è già dentro di me, ma a cui si sono sovrapposte tante altre voci che mi confondono e mi sconfortano.
Sto cercando di cambiare il mio comportamento. Ogni volta che lo sconforto si presentava cercavo al di fuori le mie conferme. Cercavo qualcuno che mi dicesse che ero importante, bella, interessante. Molto spesso l’effetto era quello desiderato, ma la durata era breve, perché queste persone mi consumavano anziché arricchirmi. Adesso ho deciso di cercarlo al mio interno, perché lì c’è la sapienza originale che vince ogni dubbio.
Domenica mi hanno detto che il mondo si divide tra chi ha letto questo libro e chi non l’ha letto. Sto pensando che sia vero. Vedo nuovi orizzonti e grandi pianure in cui lasciare correre la lupa.

Jung lo definiva l’inconscio psicoide, il luogo in cui il mondo biologico e quello psicologico spartiscono i corsi superiori delle acque. Lo si può contattare attraverso la meditazione, la danza, la pittura, il canto, l’immaginazione.
Ero lì quando ho dipinto la donna della prima immagine di questo scritto.
Ero lì domenica quando danzavo al ritmo del tamburo.
Sono lì quando viaggio e arrivo in uno di quei luoghi in cui il mio cuore rallenta il battito, mi fermo, respiro e lascio lo spazio allo stupore, all’amore per il mondo che mi circonda e in cui mi sento finalmente integrata.
È da lì che voglio ricominciare, superando le paure e i dubbi che non hanno il diritto di limitarmi.
Sono umiliata e ferita ma le mie ossa sono ancora intatte.
E quindi ci sarà un domani, un dopodomani e tanti altri ancora. Ci saranno viaggi e meraviglie. Ci saranno corse e brusche frenate. Ci sarà da ridere e da piangere, quando i miei occhi asciutti ritroveranno di nuovo la capacità di far uscire delle lacrime.
Sarà un viaggio lungo e impegnativo ma fa sempre meno paura.
Lancio questo messaggio nella bottiglia, aspettando che le onde me lo riportino, visto che è a me che è destinato.
Complimenti Anna per le tue Esperienze molto profonde e sugestive
Elio
Grazie Elio…
a volte scrivere è la migliore terapia. Per tutto il resto c’è solo il tempo…e i viaggi!